domenica 23 ottobre 2016

Quando Michael Jordan atterrò vicino a me 

(e io me ne accorsi qualche anno dopo...)


Come i marziani arrivò dal cielo e solo la nostra ingenuità di ragazzi non ci fece dubitare avesse sbagliato il luogo dove atterrare. Michael Jordan non era ancora Michael Jordan, ma la storia dello sport aveva deciso di accarezzare proprio un paesino della Valmalenco, Caspoggio, facendovi planare quello che sarebbe stato uno dei suoi astri più luminosi, il più grande.
MJ con Diego Pini, colui che permise l'arrivo in Valtellina della stella di Chicago
Era la metà degli Anni Ottanta e per noi che eravamo lì ad aspettarlo la pallacanestro era soltanto l’altro modo di giocare a pallone, l'America l'altra faccia della luna. A nobilitare quell’attesa vi erano un tappeto rosso che dal piazzale del mercato conduceva alla palestra e la nostra curiosità di vederlo calcare da uno americano vero, uno la cui carriera non avesse già imboccato la china discendente. C’erano stati Manuel Raga e Oscar e sarebbe arrivato Bob McAdoo, ma il riconoscimento “matricola dell’anno” e quella sigla “en-bi-ei riempivano quel pomeriggio dopo Ferragosto di frenesie e promesse cui non sapevamo dare un nome.
Quando scese dall’elicottero con la tuta scura, la collanina d’oro e le scarpe con lo swoosh (che in età pre-paninara erano già un oggetto del desiderio) pensai che in fondo His Airness non era così alto, “non più di mio cugino Danilo”. Non era previsto giocasse una partita, era atteso a Bormio per il “Valtellina Basket Circuit”, prima di una partita il giorno dopo a Trieste con la maglia della Stefanel. Così scherzando e dando un cinque ai ragazzi MJ entrò nel piccolo palazzetto dello sport costruito all’epoca dell’euforia per i mondiali di Bormio. Accennò qualche tiro, un paio di entrate e le immancabili schiacciate. Balena un'immagine apparentemente insignificante di quello che sarebbe diventato un marchio di fabbrica: la linguaccia, anzi la lingua che spuntava dalla bocca quando giocava. Anch’io quando ero concentrato a disegnare o a fare i compiti mi arrovellavo con la lingua e quel giorno, per quel particolare, mi sorpresi ad azzardare un irriverente paragone: "Michael Jordan è come me”.

Non ricordo dopo quanto, né come ripartì. Le vacanze stavano terminando e il ricordo di quell’estate si sarebbe portato via anche Michael Jordan. Non c’erano cellulari per immortalare quel momento, non gli strappai un autografo da dimenticare in qualche cassetto, ma la fragranza di quella madeleine cestistica l’ho riassaporata quando ho ritrovato online un video pubblicitario sulla sua tournée italiana nel 1985.
Nessun accenno a quel passaggio a Caspoggio e anche i giornali di allora tacciono. Nelle pagine locali de Il Giorno c’è una frase, un rigo appena. Il resto è lasciato alla memoria di chi c'era, di chi ha visto Michael Jordan quando ancora non era quel Michael Jordan.




PS: grazie Antonia Marsetti per le verifiche e la ricerca negli archivi di Sondrio...