Come ti realizzo un servizio sul polo logistico-distributivo
di Sant’Antonino
L’attesa è finita. Dopo tre mesi di corteggiamento
finalmente incontro quelli della Gucci. Nominativi annunciati via mail,
documenti consegnati all'entrata, eccoci entrati nel caveau del lusso di Sant’Antonino. Io, il cameraman e il fonico. Quelli della sicurezza ci
accompagnano lungo un dedalo di corridoi e di uffici, tutti asetticamente
bianchi. Ci attendono in nove. L’amministratore delegato, il direttore delle
finanze, tre addette alla comunicazione e altre persone addette a diversi
compiti, tutti in inglese, tutti – immagino
- importanti. Sono tutti in completo scuro, camicia bianca e cravatta.
Tranne noi. Ci presentiamo: nella giungla di strette di mano e nella lotteria
dei nomi carpisco solo quelli del direttore finanziario e dell’amministratore
delegato. È lui a prendere la parola e a snocciolare cifre e slogan. Dal numero
di marchi rappresentati dal Gruppo (diciannove) alla cifra d’affari (nove
miliardi di euro nel 2012), sino ad arrivare al fatidico “Noi vendiamo
immagine, veicoliamo sogni; per questo vogliamo controllare ogni parola e ogni
filmato che esce da qui...”. Sembra una premessa, ma il più è fatto. Da quando
è arrivato in Svizzera, nel 1996, il gruppo non ha praticamente mai aperto le
porte alla stampa e se dopo mesi di avances, di mail e di telefonate siamo qui
a parlare, è chiaro che il reportage si farà.
La corte dei miracoli
L’incontro per conoscerci dura un’ora e mezza, ci scambiamo
i biglietti da visita e ci diamo appuntamento alla settimana successiva.
Entriamo nel ventre del centro logistico. E’ immenso. Vi starebbero sette campi
da calcio. Da qui, ogni anno, passeranno 19 milioni di prodotti provenienti
dall’Italia, diretti in tutto il mondo. Filmiamo la sinfonia di carrelli,
binari, muletti, rulli e cuscinetti. È un tetris automatizzato che non sbaglia mai un colpo: ogni imballaggio "made in Italy" finisce al posto giusto. In fondo non stupisce che tanta tecnologia
e precisione abbiano a che fare con il lusso e con la moda. Ogni nostro passo è
seguito da uno stuolo di accompagnatori: addetti alla sicurezza, alla
produzione, alla comunicazione, ecc.. Nulla sfugge al loro controllo: se lascio
il piccolo corteo, vengo gentilmente richiamato “Ha bisogno? Cerca qualcosa?”
Dopo un’altra ora e mezza siamo fuori, evasi dal “centro di eccellenza” – per
riprendere le parole dell’AD. Appuntamento tra sei giorni a Cadempino.
Scusate l’attesa
Sul piano del Vedeggio, a Cadempino prima e a Bioggio poi, vi
sono gli insediamenti storici del Gruppo che sino al 2003 era mono-marca e che
ora, passato in mani francesi, si chiama Luxury Goods International. La sede
centrale di Cadempino è totalmente anonima, color rame, solo il nome sul
citofono ci conferma che non ci siamo sbagliati. Alle segretarie all'ingresso lasciamo i nostri nomi, mostriamo un documento e compiliamo un modulo in cui
apprendiamo come comportarci in caso di allarme. E aspettiamo. Dopo un quarto
d’ora, le tre addette alla comunicazione ci accolgono calorosamente, ci
accompagnano nella sala riunioni e ci informano che l’AD e il direttore finanziario
si stanno preparando per l’intervista. Dovrebbe essere una rassicurazione, ma
attendiamo ancora mezz'ora. La sala riunione è totalmente bianca. Grande tavolo
laccato di bianco, poltrone in pelle bianca. Tutto immacolato. Solo uno schermo
al plasma e un vaso di Murano macchiano
questo candore. Ci viene offerto un caffè. Mi viene richiesto il tempo a
disposizione, la durata delle dichiarazioni e i temi che intendo affrontare.
Dopo un’ora e mezza di attesa, di scuse e di imbarazzi reciproci, iniziamo
l’intervista. Prima l’Amministratore delegato, poi il direttore. Ogni parola
detta viene trascritta dalle tre assistenti alla comunicazione. Incasso alcuni no comment, ma aldilà di una
terminologia a volte ricercata, l’incontro è schietto e sono soddisfatto. Ci
salutiamo, concordando la data della messa in onda e la possibilità di vedere
il servizio prima della trasmissione.
Finale con
psicodramma
Sei minuti e cinquantadue secondi: tanto dura il reportage.
Finito il montaggio il venerdì, il lunedì mattina lo mostro al direttore
finanziario e a una delle addette alla comunicazione; l’AD – mi viene – detto è
stato trattenuto da una conference call
con la Cina. Guardano le immagini in silenzio, alle loro spalle colgo smorfie e
commenti sottovoce. Sono due i passaggi delicati, riguardano la fiscalità e la
manodopera estera. Mi anticipano una perplessità su un passaggio e chiedono che
una risposta venga sostituita con una più istituzionale. Lo immaginavo, accetto,
correggiamo. Il pomeriggio, dopo un consulto con l’amministratore, mi
richiamano e insistono. Pretendono che il passaggio sulla fiscalità non vada in
onda; spiego le mie ragioni e inizia un braccio di ferro. Al mattino seguente
cedono loro, ma chiedono di ripristinare la prima risposta, quella meno istituzionale.
Vabbé, correggiamo e confermo la messa in onda per il giorno successivo. Ma non
è finita. La sera mi viene chiesto di rimuovere un’immagine: questione di vita
o di morte, anche il responsabile della comunicazione del gruppo disturbato
sino in Giappone concorda: quell'immagine del 2004 è fuorviante. “È un’immagine
di repertorio, è storia”, ribatto io, ma loro sono irremovibili. Rinnovano la
litania di cifre d’affari e di marchi, il danno d’immagine – spiegano – sarebbe "irre-pa-ra-bile". “La situazione è estremamente seria”, “l’importanza vitale”, “le
conseguenze pesanti”, mi scrive accorata la portavoce del gruppo. Ne parliamo
in redazione e decidiamo di porre fine a questa odissea. Sostituiamo il logo Gucci che
avrebbe dovuto comparire dopo ca. 2’ con altre due immagini d’archivio. Dopo
quattro mesi dal primo colloquio telefonico stasera il reportage va in onda.
Questo il servizio andato in onda al Quotidiano del 29 gennaio 2014 @RSIonline