I suoni e le luci del
luna park, il buio e il silenzio dentro. Le vampe improvvise e lo sguardo
incredulo di chi passa di là. Solo a leggerla e a provare a immaginarla, la
scena mette i brividi. Un uomo sulla sessantina s’è dato fuoco in pubblico. Non
qui, dai, da noi non può succedere. Invece accade a Chiasso. E pochi giorni fa
era accaduto a Solduno. Le fiamme come estremo tentativo di spegnere un male
che pudicamente chiamiamo disagio. Un disagio che oggi – un po’ per sfatare il
tabù del suicidio – giornalisticamente ha dato vita a un genere, “le vittime
della crisi”, per tentare di trasformare in parole quel che ci lascia attoniti
e disorientati. Alcol, solitudine e disperazione, ci spiega oggi chi sapeva ma
non immaginava. La congiuntura, l’incertezza e l’instabilità, azzardiamo noi
cronisti per raccontare storie che fino a ieri non diventavano notizie. Ma poi,
una volta conosciute età, occupazione, origine e abitudini del protagonista, ci
si arresta sull’uscio di un mistero apparentemente invalicabile. Quando la vita
bussa così, ti accorgi che non basta la radiografia sociale per capire il
perché di un gesto, che lavoro, amore e politica non possono rispondere ai problemi
della tua esistenza. La scelta di togliersi la vita attiene a una zona
insondabile del cuore umano che ha a che fare con la fragilità, il dolore, la
paura. Mondi troppo profondi per farne oggetto di sociologia spicciola o
affrettate analisi giornalistiche.
Cifre alla mano le
statistiche di polizia ci dicono che in Ticino non siamo di fronte a una
recrudescenza dei casi di suicidio. I picchi sono stati raggiunti una
quindicina d’anni fa con un’allarmante media di più di un suicidio a settimana.
Lo scorso anno, le persone che si tolsero la vita furono 42, quest’anno sono,
sinora, 19. Nude cifre, che non permettono di cogliere il dramma di chi non ce
la fa più a vivere. E allora basta una fiammata del cuore, una sera di inizio
giugno, per turbarci e obbligarci a interrogarci sul perché di un gesto. Non
possiamo speculare sul dolore, ma a partire da quel dolore tutti possiamo
ritrovare il nostro posto, giornalisti e no. Perché interrogarsi sul perché
darsi la morte, implica il chiedersi le ragioni del vivere. E così concludere come
Jannacci nella sua canzone Il bonzo,
“Des' m’interessa anche a me / della mia libertà / la libertà de brusà / de
brusà per pudè campà”.
Pubblicato su RSI.ch l'11 giugno 2013