sabato 20 ottobre 2012

Il Barolo, la viola e i fulmini


“Rosa canina, viola, prugna, ciliegia e una punta di cannella” No, una nota di prugna e ciliegia sì, ma anche alla seconda degustazione la viola e la rosa canina non la sento. “Nel Bussia evidenti i ricordi di liquirizia e rabarbaro...” Niente. Sento e vedo, invece, la passione nelle parole e negli occhi di Luca il giovane enologo che ci ha accompagna nella visita dell’azienda, dalle cantine di vinificazione e invecchiamento a questo salone con il suo arredamento di inizio secolo, elegante e austero come la borghesia piemontese. Parla e generosamente riempie i calici di vini che da generazioni gli Oddero producono in questo privilegiato angolo di Piemonte, alla Morra, Santa Maria della Morra, la frazione più settentrionale. Una storia voluta e ricercata dall’Ottocento affinché qui - nei tre comuni del Barolo, tra La Morra, Serralunga, Castiglione Falletto, Monforte, Neive e Vinchio d’Asti - si producesse dalle uve Nebbiolo un nettare destinato a divenire il vino del Re, ambasciatore dei Savoia nelle corti di tutta Europa. Merito, come scrisse Mario Soldati del misterioso rapporto tra le Alpi e le vigne: “La freschezza di quell'incorrotta atmosfera che i venti di marzo e aprile trasferiscono sulle Langhe e sul Monferrato deve per forza influire sulla crescita della vite, poi sulla maturazione dell'uva, infine sull'aroma del vino. Dico a Oddero che non ho mai visto vigne in una posizione così meravigliosa...”
 
Luca racconta, noi ascoltiamo assaggiando e, poco distante, il proprietario, il signor Giacomo Oddero osserva col suo gilet in lana nonostante il sole che scalda la tiepida giornata autunnale. Maschera l’orgoglio con un finto distacco. Vorrei essere ad Alba per la finale di pallapugno (ndr: il pallone elastico), ci confessa. Il barolo qui è una questione di famiglia: oggi l’azienda è guidata dalle figlie di Giacomo, Mariacristina e Mariavittoria. Prima di loro, il padre, i nonni e i bisnonni sono stati tutti viticultori. Dal 1700.


Alle pareti lo sguardo curioso scorge una lettera incorniciata. “Natale 68, Capodanno 69, Caro Giacomo Oddero...” La carta è intestata: Gianni Brera. Poco distante il ritaglio di un articolo con la recensione dell’Arcimatto, la rubrica di Brera al Guerin Sportivo. Tra il giornalista e Giacomo Oddero – chiamato affettuosamente Giacomino Oddero di Margherita – vi era sincera amicizia. Brera scriveva che a La Morra si produceva un barolo “da tuoni e fulmini”. Aveva ragione. Nello scritto Giuànbrerafucarlo invitava l’amico a colazione per poi andare a vedere insieme Inter-Juve. Sport e vino, passione e tradizione. Tutto si lega, mancano le citazioni di Fenoglio e Pavese o di un Paolo Conte, ma su per le colline si sentono il passo delle loro parole e i profumi delle sue note, e se il vino finisce “vieni qui con noi a bere un’aranciata / contro luce tutto il tempo se ne va”.