“Ognuno
deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un
bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o
un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore.
Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra
anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l'albero o il
fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. Non ha importanza quello che si fa,
diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in
qualcos'altro che porti poi la nostra impronta. La differenza tra l'uomo che si
limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva. Quello
che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero
giardiniere vi resterà per tutta una vita.”
(Fahrenheit
451, Ray Bradbury - 1953)
Sessant’anni dopo
“Mia nonna, poi mio padre
curarono questi vasi. La cura del mondo è un'abitudine che si eredita. A dieci
anni riempivo l'annaffiatoio per mio padre, e la facilità con la quale lui
maneggiava con una sola mano quei dieci litri d'acqua che io gli porgevo con fatica
e impaccio mi pareva il traguardo della mia infanzia. Ora che maneggio con la
stessa destrezza quei dieci litri, e sono dunque adulto, mi rendo conto che
nessuno mi porge l'annaffiatoio. Una catena è spezzata - ne sono l'ultimo
anello. Non c'è dubbio. Sono l'ultimo anello.”
(Gli sdraiati, Michele Serra- 2013)
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